A San Fortuna’ se magna ben !

 

1879, centotrenta anni fa il Voto solenne dei nostri nonni per invocare dalla B.V. del Rosario la protezione dall’epidemia di angina difterica che colpiva inesorabilmente i bambini. Puntuali siamo pronti anche quest’anno (2009ndr) a rinnovare il nostro atto di fede. Festeggeremo l’antica memoria con la tradizionale solennità nei giorni 3-4-5 ottobre. La “nostra” amata festa votiva di San Fortunato, dedicata alla Madonna del Rosario, compie 130 anni. Fedele a una tradizione centenaria, ancor oggi essa esprime la devozione popolare verso la B.V. Maria e lo spirito comunitario che anima l’antico quartiere bassanese. Le celebrazioni religiose si svolgeranno nella chiesa dell’antico Monastero benedettino cortesemente concessa dalla famiglia Sartori. Tutti gli intrattenimenti della tradizionale sagra sono disposti, invece, nell’area del parcheggio del Centro Sociale del quartiere. Tante volte ho sentito questa affermazione soprattutto da persone fuori Quartiere, ma non manca, nel Quartiere stesso, anche chi invece afferma che la Festa Votiva, in origine di carattere prettamente religioso, si sia trasformata in una festa mondana e commerciale. Vorrei invitare questi ‘brontoloni’ a restare un po’ di più in chiesa: vedranno quanta affluenza, vedranno quanta devozione davanti alla statua della Beata Vergine. Se poi i fedeli si fermano anche in campo a bere l’ombretta o a mangiare la braciola, nulla di male, è un loro diritto, è una tradizione che si perde nella notte dei tempi antichi. Non facciamo riferimento alle tradizionali feste paesane contermini, ma più in generale alla vastissima documentazione presente fin dai più antichi testi biblici ed in tutto il mondo nei secoli successivi: condividere il cibo in occasione di unafesta, grande o piccola, pubblica o privata, religiosa o civile, è una tradizione ormai consolidata. Possiamo pensare che anche presso l’antico Monastero di San Fortunato nei secoli passati non mancasse mai il boccone per i poveri di passaggio; ma la carità cristiana raramente viene documentata. Troviamo invece buona documentazione nel vecchio “Liber Regiminis” quando il monaco Leandro da Padova, nel 1792, ci fornisce informazioni sui riti e le tradizioni religiose da conservare e rispettare per la vita religiosa della contrada. La prima festa nel vecchio manoscritto è la sagra di San Lorenzo (10 agosto) presso un’antica chiesetta campestre (oggi del tutto scomparsa) vicino alla rosta Rosà a San Lazzaro. «… Il concorso poi molto grande del Popolo la costituiva allegra con feste e balli nel dopo pranso …» Possiamo forse credere che la folla presente tirasse sera bevendo la sola acqua della rosta? Sicuramente chiedevano altro. Del tutto analoga alla sagra di S.Lorenzo era la festa di Santa Lucia (13 dicembre) celebrata nella chiesetta (ancora oggi esistente) a S.Croce Bigolina. Questa festa «…veniva celebrata con gran pompa e da gran concorso di Popolo …» che arrivava la mattina presto e vi rimaneva fino a sera per il «Vespro». Ma quello che più ci stupisce è la descrizione della cerimonia della Commemorazione dei Defunti, in novembre, una ricorrenza di certo non allegra e spensierata. Le funzioni si svolgevano in due tempi e luoghi distinti: parte in chiesa e al cimitero (a settentrione della chiesa), parte alla porta del convento. Il Rettore o il monaco apparato nelle vesti nere liturgiche, seguito dai chierichetti con croce, incenso, secchiello dell’aspersorio e borsa per le offerte, dopo la Santa Messa, recitava i salmi del Vespro da Morti sopra le tombe nella chiesa e davanti alla porta, poi anche su ogni tomba del cimitero. La seconda parte della cerimonia si svolgeva, invece, sulla Porta del Monastero e consisteva nella dispensa dell’elemosina, in pane, vino e minestra. Ma lasciamo la parola a don Leandro, autore del manoscritto. «Il consumo del Pane ‘Bolengo’ consiste in tre stara fra segalla e formentello. Quello della minestra consiste in due stara, tra Fava e Fasoli cotti. Quello del vino in due mastelli in circa. … L’uso pratticato per il passato era di far entrare tutta la gente in Chiesa, apparecchiato prima un Tavolino con la sua tovaglia appunto avanti la Porta della medesima Chiesa con due mastelli poco lontano. Sopra il tavolino dispensava il Padre Rettore il pane et alli due mastelli, uno pieno di vino l’altro di minestra, assistevano e ne dispensavano li Lavoradori. S’apriva poi la porta della Chiesa ove era la gente rinchiusa, ma con quel disordine che facilmente si può intendere, che fosse fatto da chi in queste occasioni preme per sortirne primiero, con tutto che non fosse ommessa diligenza per far passare la gente con ordine. Ma non potendosi conservare questo buon ordine, ne nascevano strepiti, confusioni, gridi, con spezzamento di pignate, scudelle, boccali, così che prendeva questa nostra elemosina la figura più tosto d’una azione ridicola che d’una opera di carità. Oltre di che, non conveniva al Padre Rettore fermarsi all’aria dentro giornate fredde e talvolta con pioggia; così ho stimato bene pensare ad altra forma di fare l’elemosina, dalla quale non nasca né tanta confusione, né tanto incomodo, né riesca in fatti la cosa così ridicola, o almeno meno ridicola che sia possibile, a quelli che forse più per loro divertimento che devozione concorrono a vederla. S’è procurato, dunque, far entrare tutta la gente in Chiesa e chiuderne la Porta con chiave e catenaccio, et apparecchiata ogni cosa per l’elemosina, cioè il Tavolino con pane alla Porta del Monasterio dentro il Claustro, e poco lontano il Mastello con la Minestra, e fuori della Porta del Monasterio il Mastello con il vino; far aprire poi l’altra Porta di Chiesa che conduce nel vestibolo lungo della sagrestia et ivi far passar la Gente con miglior ordine e farla sortire fuori per la Porta del Monasterio. Da questa regola n’è provenuto il buon ordine per la elemosina che si è fatta con minore strepito e con confusione di quello succedeva nell’altra maniera descritta di sopra. » Ci vorrebbe un don Leandro anche oggi sotto i tendoni della cucina: sicuramente troverebbe qualcosa da migliorare! L’organizzazione del servizio di ristoro, partita alcuni decenni fa, non fa certo a pugni con la tradizione vecchia di secoli: tutte le prestazioni vengono svolte con assoluta gratuità in forma di volontariato, nessuno lucra dei proventi, che vengono invece interamente destinati ad opere di pubblica utilità, basti guardare il fabbricato del Centro Sociale parrocchiale, che presto verrà ampliato per meglio rispondere alle necessità dei cittadini residenti. Per quanto riguarda i “brontoloni”, citati all’inizio di questa nota storica, pur rispettando il loro pieno diritto di opinione diversa, possiamo rispondere che in loro notiamo uno scarso senso di umiltà e forse anche la mancanza di un sano e giusto orgoglio del volontariato. Concludendo ci piace ancora ricordare quanto affermò Mons. Giulio De Zen, insigne figura ecclesiastica, nell’omelia del 1979 in San Fortunato: tutto questo sfarzo di luci e noi oggi, senza pericolo di deturpare il concetto, alle luci dei ‘baloni’ potremmo aggiungere anche tutto questo sfarzo di piatti in tavola non sono mai una esagerazione, quando il tutto sia fatto in onore della B.V. del Rosario”.

 

Giuseppe Zonta

 

Riferimenti storici tratti dai volumi:

 

«Origini e vicende del monastero benedettino di San Fortunato di Bassano» di Franco Signori

 

«Memorie, cronache e personaggi intorno alla festa votiva di San Fortunato» di Giuseppe Zonta.