La chiesa del monastero di San Fortunato

 

 

II visitatore che entra nella chiesa di San Fortunato immancabilmente rimane stupito dall’antica e straordinaria sacralità del sito: l’azzurra cupola centrale, l’abside maestosa con la grande cappa marina, le volte a botte finemente decorate ,la statua della Beata Vergine che si erge tra fiori e innumerevoli  fiammelle votive, l’atmosfera tutta particolare dell’ambiente. Ma, constatata la precarietà e le numerose crepe sulle logore strutture architettoniche dell’edificio, non può evitare di chiedersi, dopo qualche istante, «ma quanti anni avrà questa chiesa?, sicuramente mille e forse più ...», pensando al “mille” come ad un

numero quasi magico, ad una data molto remota.

 

 

Rammentiamo che notizie storiche molto dettagliate sono state pubblicate l’anno 2000 nell’opera del Prof. don Franco Signori «Origini e vicende del monastero benedettino di San Fortunato»; ora ci limitiamo ad una breve sintesi delle principali date ed avvenimenti documentati nel volume stesso. Il monastero, sorto all’epoca delle Crociate per ospitare le monache che prestavano cura e assistenza spirituale al vicino lebbrosario di San Felice, aveva già la sua chiesetta  (oggi del tutto scomparsa) a sera del complesso attuale, dove ora sorge la ‘barchessa’. Ma nell’anno 1460 il priore don Bernabò da Milano, confortato dal pieno successo dell’opera di risanamento economico della ‘granza’  (fattoria benedettina), casa di ospitalità e di accoglienza per monaci anziani, infermi e bisognosi di riposo, affidò i lavori per la costruzione di una nuova chiesa più capiente al mastro ‘muraro’ Giovanni dal Lago, di stanza al Margnan e proveniente da Como. Negli stessi anni, però, nuvole oscure rabbuiavano sempre più il cielo di Bassano: stava arrivando la peste! Il Consiglio cittadino deliberava la costruzione del Lazzaretto (1465), decisione mandata ad esecuzione nel 1483; anche la fabbrica della chiesa si arrestava ed i monaci di San Fortunato fuggivano (1478) in luoghi più sicuri per tornarvi pochi mesi dopo. Tornato nuovamente il sereno anche il programma di rinnovo edilizio (costruzione della nuova chiesa e del chiostro) poteva essere ripreso. Gli antichi documenti testimoniano che la fabbrica arrivò finalmente “alla frasca” nel 1494-1495: travi e legname arrivano via fiume da Valstagna (Francesco Viero); tavelledi terracotta e coppi dalle fornaci di Angarano (Maggi e Battaglia); interventi murari mastro Antonio muraro di Marostica ed il suo garzone Bernardino; falegnameria e carpenteria mastro Zuanne Favero di Bassano; trasporto materiali edili, calce e sabbia ad opera del ‘munaro’ di casa Zuandomenego col suo carretto e il suo asino; lavori di manovalanza nel cantiere il personale domestico del monastero ed i coloni della campagna. La nuova chiesa, dunque, iniziata nell’anno 1460, sotto il priorato di don Bernabò, sarà portata a termine dai due rettori don Antonio Gualdo da Vicenza e don Tommaso da Firenze (1495); essa era impostata nel severo stile architettonico conventuale classico (come la chiesa benedettina di Campese e tante altre): pianta rettangolare, tetto a capriate in legno a vista. Però questa non è la chiesa che oggi possiamo ammirare! Evidentemente ci fu ben presto un ripensamento con conseguente rimaneggiamento dell’intera struttura edilizia. Una analisi attenta delle strutture nascoste sottotetto ci spiega molte cose, ma soprattutto le testimonianze del  Liber Regiminis, importante documento custodito in Santa Giustina di Padova, ci svelano ogni mistero. Sotto il governo del diligente e benemerito padre don Leonardo da Piacenza, negli anni tra il 1498 e il 1500, tre anni soltanto dopo il completamento del progetto originario (siamo negli stessi anni dei primi viaggi di Cristoforo Colombo in America), l’edificio fu radicalmente rimaneggiato: impostazione a volta di botte, con tanto di cupola centrale, di abside semicircolare e di arcate laterali a tutto sesto ai due lati della navata. «Il nuovo aspetto risultante da questo cambiamento strutturale sarà, comeci è dato di notare oggi, un po' meno suggestivo e severo, ma in compenso più monumentale, arioso e movimentato».  Inoltre, nell’anno 1501, il nostro rettore pose mano all’erezione dell’elegante campanile, dotandolo di “tre belle e buone campane”. Oggi le campane di bronzo sono rimaste soltanto due, la grande del 1799 uscita dalla fonderia Colbacchini di Angarano e quella minore, assai rovinata, del 1579 (entrambe restano oggi mute da parecchi anni a causa della precarietà del campanile). Tutte le decorazioni interne del tempio sono opera del pittore bassanese Francesco Nasocchio (1502). «L’impianto architettonico dell’edificio, come oggi ci appare è, tutto sommato, di una chiarezza e semplicità encomiabili; un’unica navata fornita di sei ampie nicchie laterali, ricavate dai robusti sottarchi che sostengono le volte a botte e la cupola mediana; l’abside semicircolare, che un tempo ospitava il coro, è sopraelevata di alcuni gradini e si raccorda all’arco della volta terminale per mezzo di un catino affrescato in forma di grande conchiglia... Un minuto e prezioso manto di colore ricopre le volte e la cupola e scende lungo gli archi, tratteggiando in chiaroscuro le lesene. Sulle volte, disegnato in rosso su fondo bianco, tutto punteggiato di piccoli soli, campeggia il monogramma di Cristo [JHS]. All’interno della cupola di intenso colore blu, quasi a simboleggiare la conca del cielo, si affacciano coppie di alati cherubini. Dai quattro pennacchi al di sotto della cupola, entro medaglioni inghirlandati di verde e di frutta, sostenuti da quattro putti, si affacciano le figure dei quattro dottori della Chiesa d’Occidente: San Girolamo, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Gregorio. Altri medaglioni con dentro volti di santi, si snodano a mo’ di fregio lungo le pareti laterali della navata. Sui pilastri, infine, dipinti a chiaroscuro su fondo rosso, campeggiano, secondo il gusto dell’epoca, candelabri e gruppi di trofei, mentre il catino absidale si presenta avvolto tutt’intorno da un prezioso fregio di angeli in volo». Sul frontale esterno della chiesa appaiono evidenti tracce di una precedente costruzione: si trattava di una piccola loggia con sottostante protiro perl’accesso alla chiesa, già disponibili nel 1467 e sempre presenti negli antichi disegni. La loggetta consentiva un collegamento con il piano superiore del complesso monastico e le celle dei monaci e, all’occorrenza, fungeva anche da sala del capitolo (il tutto crollerà con il devastante terremoto del 1695 e non sarà più rifatto). La splendida nuova chiesa fu consacrata il primo febbraio 1512 dal vescovo di Feltre monsignor Antonio Pizzamano, personaggio molto legato al territorio bassanese (di famiglia patrizia veneziana con residenza a Bassano) discepolo ed estimatore del prete eremita Ludovico Ricci, a cui si deve la fondazione del monastero benedettino di San Girolamo sulla Via Nova (oggi Beata Giovanna). Anche questa importante data del 1° febbraio 1512 è documentata da due epigrafi sulla porta d’ingresso della chiesa, quella esterna scolpita sull’architrave e quella interna, alquanto rovinata, che riporta esattamente il testo:

 

 MDXII DIE P° MENSIS FEBR- RM lDlDl ANT[onius] PIZAM[anus]

FELTlEPS TEMPLUM HOC ET ALIARIA CONSECRAVIT IN

HONOREM SANTOR l FORTUNATI : ERMACORAE ET FELICIS MARTIR

 

 «... San Fortunà, la ciesa dai mil’ani posà, eremo dolçe tra i orti

verdi e i malagragni rossi, dove se slarga e se desgropa el Brenta. ...»

da "El Centenario" di Gino Pistorello